Oltre SamarcandaMICHELE SANTORO E LA SUA VITA SUL FILO DEL RASOIO

(Questo articolo è stato pubblicato su: Reset Italia, Aprileonline, Indymedia Italia, Osservatorio sulla legalità)

Seguo i programmi di Michele Santoro da oltre 20 anni e comprendo la sua scelta di uscire dalla Rai. Ricordo che le sue difficoltà con l'azienda e con i politici iniziano sin dalla fine degli anni 80.  In quegli anni, sono stato più volte di sera a via Teulada, assieme a centinaia di persone, per manifestargli solidarietà contro i primi pruriti censori della Rai lottizzata. Santoro svolge la sua professione di giornalista in maniera eccellente e coraggiosa. Credo si possa dire la stessa cosa di Sandro Ruotolo e di altri/e suoi colleghe e colleghi che hanno fatto parte del gruppo redazionale di "Samarcanda" e di "Sciuscià". Santoro è nel mirino da sempre. Ha pagato e sofferto per anni l'ostracismo e il mobbing all'interno della sua azienda. La sua resistenza e caparbietà, la sua difesa creativa, fatta di azioni legali e di una candidatura, strategica e strumentale, alle elezioni europee, hanno impedito che diventasse quello che molti squali speravano: un uomo annichilito costretto ad uscire di scena per sempre. Il paradosso che lui vive dal punto lavorativo è comune a molta gente che esercita il libero pensiero nei posti di lavoro. Lui è una enorme risorsa professionale ed economica per l'azienda RAI, ma lo è solo per volere del Tribunale di Roma non perché l'azienda lo abbia scelto come miglior conduttore di talk show di prima serata. E mentre il suo share di ascolti e i relativi introiti pubblicitari sono diventati nei fatti il fiore all'occhiello della stessa Rai, gli amministratori di viale Mazzini lo attaccano facendo ricorso in Cassazione contro la sentenza d'appello che gli ha dato ragione.

Sono d'accordo con Santoro quando dice che non si può continuare così e che deve reinventarsi ed esercitare la sua professionalità utilizzando altre strade e altri strumenti. Perché è vero: è un mobbing feroce essere considerati nemici da un'azienda alla quale si da il meglio di se con risultati oggettivi e visibili a tutti.

Nella storia del nostro paese, unico assieme al Portogallo a non avere alcuno strumento legislativo, il mobbing nei luoghi di lavoro miete silenziosamente numerose vittime, vittime che nella maggior parte dei casi non denunciano le molestie e le vessazioni subite. Negli enti pubblici, statali e parastatali, così come in aziende che si foraggiano con appalti e convenzioni della pubblica amministrazione, il sistema, spesso clientelare e corrotto intrecciato alla politica e al voto di scambio, impone una rigida omologazione del pensiero che arriva a schiacciare tutti quei lavoratori non disposti a cedere la propria dignità di persone al "gerarca-burocrate" di turno.

Questa condizione di pressione psicologica abnorme tanto più crudelmente si esercita contro coloro che, nello svolgere il proprio ruolo professionale, possono interferire e ledere gli interessi illeciti di "poteri occulti" esponendo così al rischio quotidiano la propria incolumità.

Tanto per fare impropriamente un riferimento storico il cui anniversario ricorre in questi giorni, l'isolamento di Giovanni Falcone all'interno del corpo giudiziario ha preceduto la sua uccisione. La dinamica storica e sociologica è sempre la stessa: l'isolamento, lo sfiancamento usurante, fatto con micropassaggi, teso all'espulsione permanente o all'annientamento definitivo. Un'intera vita professionale sul filo del rasoio, all'insegna del masochismo, non si augura a nessuno. A mio avviso l'impegno civico e la lotta per i propri ideali vanno continuamente riscritti tenendo conto della dinamicità del contesto ambientale in cui essi si esercitano.  E' quindi giusto riconoscere ad ogni individuo il diritto di sottrarsi alla "cattiva sorte" e a salvaguardare il proprio benessere psicofisico. Il percorso e le scelte di una persona non possono essere sganciati dalla sua  coscienza e individualità per inseguire "pressioni popolari" alquanto aleatorie e, non di rado, incoerenti.

Possiamo immaginare quanto il pubblico osannante e le piazze piene abbiano un bisogno atavico di eroi e di martiri quasi come se, rinnovando il rito cristiano della crocefissione si possano placare ansie e angosce esistenziali. Non si guarda mai oltre il palcoscenico illuminato, dietro le quinte, all'ombra di apparati e lobbies dove si giocano in parallelo partite inconfessabili contro donne e uomini "liberi".

Alla luce di queste considerazioni, sento di esprimere a Michele Santoro, qualunque sia la forma che assumerà in futuro il suo impegno professionale, la mia piena solidarietà e incoraggiamento. A lui, a Ruotolo e a tutta la squadra delle sue precedenti trasmissioni televisive va anche il mio "GRAZIE" per aver saputo tenere alto il livello del giornalismo italiano.

Domenico Ciardulli   

http://www.ciardullidomenico.it

20 maggio 2010

    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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