IL WELFARE A “LUCI ROSSE” E LA GIUNGLA DEI SERVIZI AFFIDATI ALLE COOPERATIVE SOCIALI
Non è la prima volta che noti cronisti di importanti quotidiani peccano di clamorose inesattezze e approssimazioni nella descrizione delle figure professionali coinvolte in episodi di cronaca. Negli articoli di “La Repubblica” e “Corriere della Sera” del 23 luglio scorso, Sandro De Riccardis e Michele Focarete danno notizia di un abuso sessuale ai danni di un ragazzino di 13 anni da parte di un’operatrice sociale di 30 anni della cooperativa “Diapason” di Milano. Il primo (“La Repubblica”), in maniera gravemente erronea, qualifica l’operatrice coinvolta come “educatrice” nel titolo e come “assistente sociale” all’interno dell’articolo, dimostrando così di non saper distinguere tra le varie figure professionali impiegate nei servizi sociali e di non aver verificato doverosamente di quali titoli professionali fosse in possesso la persona arrestata.
Addirittura, Michele Focarete (“Corriere della Sera”) pasticcia ancor di più inserendo nel suo articolo, come se fossero sinonimi, i termini: “educatrice sociale”, “assistente sociale” e “insegnante” nel sopratitolo. E i suoi colleghi del giorno dopo recidivano sugli stessi errori.
E’ ovvio che di questa superficialità giornalistica ne pagano le conseguenze, in termini di danno all’immagine, le categorie degli assistenti sociali, degli educatori e degli insegnanti. Infatti accade che assistenti di base senza alcuna qualifica, oppure con semplici attestati regionali, vengano confusi con professioni di formazione universitaria. Basti ricordare un altro abuso sessuale compiuto a Roma da un’assistente domiciliare di cooperativa a spese di un bambino affetto da sindrome di Down. Anche in quel caso l’operatrice è stata definita erroneamente dalle cronache "assistente sociale". In un altro articolo di qualche tempo fa si è descritto l’episodio un’assistente scolastica, definita erroneamente “maestra”, che ha ferito con le forbici la lingua di un alunno. Per non parlare del più recente arresto per spaccio e porto abusivo di armi di un “educatore”- presidente di una cooperativa sociale incaricata dal comune di Roma di gestire alcuni campi nomadi. Tale confusione su ruoli e figure professionali del sociale e la loro svalorizzazione rispecchia l’attuale passività e disinteresse da parte di università, enti locali, organizzazioni sindacali e forum del terzo settore.
Lo psicologo Fulvio Scaparro si chiede giustamente sul quotidiano milanese quali controlli ci siano a monte nel reclutamento di questo personale di assistenza socio-educativa. Noi potremmo aggiungere che non c’è un granchè di controlli, né a monte né a valle, riferendoci alla facile esternalizzazione di servizi, alle modalità di assegnazione di alcuni appalti, alle modalità di controllo della qualità e delle professionalità effettivamente impiegate rispetto a quelle dichiarate sia per ottenere l’accreditamento, sia per presentare progetti nelle gare e nei bandi pubblici.
Infatti sovente agli amministratori locali che hanno affidato un servizio pubblico sembra non importare nulla di controllare se a seguire minori a rischio o disabili o persone tossicodipendenti o disagiati psichici vi siano operatori muniti di un titolo universitario abilitante e inquadrati in un regolare rapporto di lavoro. Sarebbe facile riscontrare, se solo si volesse, la furbizia di numerosi organismi cooperativi che approfittano della mancanza di controlli o di entrature politico-clientelari negli enti locali per speculare economicamente utilizzando operatori senza titolo, senza supporto, senza servizi di formazione, aggiornamento e supervisione.
Proprio un mese fa una cooperativa sociale di Milano cercava educatori da far lavorare in un soggiorno estivo per minori in Calabria per la misera somma di 600 euro. Così una cooperativa sociale di Roma, per la stessa somma, cercava personale, con titolo o senza titolo, da impiegare in un soggiorno estivo per disabili medio gravi a San Felice Circeo. Un'altra che lavora con pazienti psichiatrici a domicilio con la Asl impiega educatori a progetto a 6,50 euro nette l’ora.
Attraverso un ignobile sfruttamento, dovuto all’utilizzo di contratti precari e non conformi ai contratti collettivi, si mandano così al macero, o al facile burn out, tanti operatori, spesso impreparati e non formati, con un ovvio indecente turn over che penalizza, anche e soprattutto, i cittadini utenti svantaggiati i quali avrebbero diritto a servizi pubblici di qualità.
Per porre fine e mettere mano a questa grave lesione dei diritti occorrerebbe rimuovere l’atavico velo di ipocrisia che caratterizza enti locali e sindacati. Se una università forma educatori e assistenti sociali dovrebbe, a mio avviso, collegarsi ai comuni e alle regioni per la loro valorizzazione e il loro regolare impiego. Se una regione organizza corsi di formazione per operatori socio sanitari, con tanti finanziamenti europei e nazionali, dovrebbe occuparsi di rivedere gli organici socio-sanitari esistenti nel territorio, riqualificarli e, magari, bandire nuovi concorsi. Se un sindacato si accorge dell’abuso di contratti a progetto in servizi residenziali, dove non dovrebbero esistere, sarebbe forse opportuno offrire agli operatori un servizio legale gratuito che inneschi una spirale virtuosa di pronunciamenti giudiziari. E così gli Ordini e le associazioni professionali dovrebbero, a mio parere, svincolarsi dalla melma omertosa della sudditanza a partiti e corporazioni, e pungolare in tutte le direzioni perché sulle professioni sociali si arrivi alla piena e capillare attuazione dell’articolo 12 della legge 328/2000, incoraggiando una nuova mentalità sulle politiche di programmazione territoriale che sia innovativa e veda la piena partecipazione delle comunità interessate.
Potremmo, in questo modo, risollevare il nostro paese verso una dimensione europea avanzata, capace di fronteggiare le grandi sfide sociali che caratterizzano questo terzo millennio.
Domenico Ciardulli
Educatore Professionale
24 luglio 2009